moja polska zbrojna
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...da un paese lontano

Il titolo forse non è originale ma riflette bene i legami italo-polacchi. Con queste parole, appunto in italiano, ha parlato alla folla a Roma, nel 1978, l’arcivescovo di Cracovia Wojtyła dalla loggia di San Pietro: “Mi hanno chiamato da un paese lontano”.

Effettivamente è lontano. Da Cracovia, l’antica capitale della Polonia, attraverso i Carpazi slovacchi, il confine austro-ungarico, la slovena Lubiana, la laguna veneta, Ravenna e Perugia è un cammino di 1426 km fino a Roma, secondo il calcolo preciso di Google Maps. Questa distanza, o forse, anche di più, la dovettero percorrere i trecento guerrieri corazzati del primo re polacco, Bolesław Chrobry, il quale nell’anno mille mise i suoi cavalieri a disposizione del monarca del Sacro Impero Romano, imperatore Ottone II, per una spedizione in Italia.

Secondo un cronista francese, l’imperatore tedesco insieme al re polacco si recarono prima sulla tomba di Carlo Magno ad Aquisgrana, sita vicino al confine attuale con il Belgio. Dopo l’apertura del sepolcro, Ottone donò a Bolesław il trono d’oro di Carlo su cui la salma dell’imperatore sarebbe rimasta seduta per due secoli. Insieme alla morte improvvisa di Ottone al castello di Paterno nel Lazio romano, i piani di un impero universale appoggiato su quattro pilastri – Gallia, Germania, Italia e Sclavinia, cioè territori slavi, si dissiparono. Il ricordo dei soldati corazzati polacchi che combatterono sulla lontana terra italiana mille anni fa, si conservò grazie ai cronisti stranieri. Come dice la teoria più recente, dalla Venezia del XII secolo sarebbe pervenuto il padre di questo genere di cronaca in Polonia, noto come Gallus. I polacchi, prima di tutto sacerdoti, percorsero lo stivale italiano più volte, viaggiando verso Roma e verso le università che crescevano come funghi. A Bologna e a Padova studiarono Niccolò Copernico e un famoso cardinale polacco dei tempi della riforma, Stanislao Osio. A quest’ultimo i polacchi devono un loro ospizio in via delle Botteghe Oscure, nel quartiere romano di Sant’Angelo. Era una sorta di casa del pellegrino presso la chiesa intitolata al patrono della Polonia, il vescovo di Cracovia Stanislao, i cui frammenti delle reliquie furono portati lì dopo la morte di Osio. La fondazione non resistette al crollo dello stato polacco, spartito nel 1795 tra tre occupanti – la Prussia, la Russia e l’Austria. Tre anni dopo, l’8 maggio 1798, nel giorno di San Stanislao, quando la cattolica città di Cracovia visitava in processione con gran pompa le reliquie del santo – la sua chiesa romana fu aperta dai legionari del generale Jan Henryk Dąbrowski, che poi parteciparono alla santa messa.

Legioni di Napoleone (1797 – 1807)

Come mai dopo ottocento anni, i soldati polacchi si trovarono di nuovo nel cuore dell’Italia? Non erano mercenari, come i lanzichenecchi luterani dell’imperatore cattolico Carlo V che tre secoli prima fecero il famoso sacco di Roma, il 6 maggio 1527 massacrando le guardie svizzere, cadute gloriosamente difendendo il papa. L’insurrezione polacca del generale Tadeusz Kościuszko del 1794 contro la Russia e la Prussia, terminata con la sconfitta, e di seguito il crollo dello Stato, causarono l’emigrazione di centinaia di attivisti politici e migliaia di soldati. Chi rimase nella patria fu arruolato negli eserciti degli occupanti – russo, prussiano ed austriaco. Il servizio militare negli eserciti degli occupanti diventò un incubo per i polacchi che si protrasse fino all’anno 1945, e anche di più, se consideriamo la subordinazione dell’esercito polacco al “garante” russo durata per 45 anni dopo la Seconda guerra mondiale, e il servizio degli ex cittadini polacchi nell’Armata Sovietica.

„Mappa storica, cronologica e geografica che illustra le operazioni dei polacchi in Italia volte alla resurrezione della loro patria”. Edizione francese della mappa storica del 1829 che illustra i percorsi del cammino delle legioni polacche negli anni 1797 – 1801

Verso la fine del XVIII secolo, praticamente l’unico alleato, anche se non sicuro, dei polacchi era la Francia dei Giacobini che combatteva contro la Prussia. Questa alleanza non la cambiò neanche il colpo di stato del 9 termidoro del 1794, la creazione del consolato e la carriera vertiginosa del primo console – Napoleone. Uno degli esuli era il generale polacco Dąbrowski, il quale nel 1797, da Napoleone che combatteva in Lombardia contro gli Austriaci, ottenne l’autorizzazione a formare una legione separata composta di prigionieri polacchi in prigionia francese. Essa doveva servire come supporto alla creatura francese, cioè alla Repubblica Lombarda. I legionari sulle divise polacche portavano il fiocco italiano e francese, insieme alla scritta Gli uomini liberi sono fratelli. Era quindi un esercito nuovo, civile e repubblicano, sul modello dell’esercito insurrezionale di Kościuszko del 1794, nel quale le differenze di stato e di provenienza non dovevano svolgere nessun ruolo. D’altronde Kościuszko liberato dalla fortezza russa dallo zar Paolo, divenne un capo simbolico dei soldati. Il servizio comportava uno sdoppiamento, talvolta drammatico. L’esercito rivoluzionario francese, sotto gli slogan della libertà e uguaglianza, portava l’occupazione francese e la lotta contro la religione. I legionari polacchi volevano combattere per tornare alla patria e soprattutto, in particolare quelli di provenienza contadina, erano dei cattolici profondamente credenti. I polacchi nella Romagna papale soppressero la rivolta del popolo contro i francesi, invece a Reggio, grazie al loro tatto, si guadagnarono la simpatia dei cittadini. Qui il generale Józef Wybicki, uno dei politici polacchi più eminenti a cavallo dei secoli XVIII e XIX, scrisse per i legionari la vivace Mazurka di Dąbrowski, il futuro inno nazionale della repubblica polacca, nella quale veniva espressa la speranza di ritorno nella patria:

La Polonia non morirà
finché noi vivremo
Ciò che la violenza straniera ci ha tolto
noi con la sciabola ci riprenderemo.

Marcia, marcia Dąbrowski
dalla terra italiana alla Polonia
Sotto il tuo comando
ci uniremo con il popolo.

Il 3 maggio 1798 i polacchi entrarono nella Città Eterna, la capitale della nuova Repubblica Romana, nata sulle macerie dello Stato Della Chiesa. Proprio allora avvenne l’apertura breve della chiesa polacca di San Stanislao. Dopo andò sempre peggio. Nel 1799, il comandante francese della città di Mantova che stava capitolando, rilasciò una parte dei legionari agli austriaci, come sudditi stranieri, e le legioni subirono perdite enormi proteggendo il ritiro dei francesi durante la battaglia contro le truppe russo-austriache sul fiume Trebbia. Germe della nuova legione diventarono i resti dei soldati che sopravvissero alla battaglia di Marengo contro gli Austriaci, nel corso della campagna del 1800 vinta da Napoleone. Una parte dei soldati, come le truppe polacche, ricevettero di seguito il salario della Repubblica Italiana, e l’altra parte fu mandata a sopprimere la rivolta della popolazione nera nella colonia francese in Haiti. Tanti dei legionari passarono dalla parte dei ribelli – i loro discendenti neri vivono nell’isola fino ad oggi.

L’epopea, comunque eroica dei legionari polacchi che prestavano il servizio agli italiani, arrivò in Polonia e in Lituania sotto l’occupazione russa, entrando per sempre nella storia di entrambi i paesi. Nel poema nazionale di Mickiewicz Messer Taddeo, scritto in esilio dopo la sconfitta di un’ulteriore insurrezione dei polacchi e lituani contro i russi, si trova l’eco del seguente racconto:

Ma spesso anche in Lituania piombava, come un sasso
dal cielo, una notizia: spesso un accattapane
senza un braccio o una gamba, ricevuta la questua,
si fermava e scrutava in giro con cautela.
Non vedendo soldati russi, o baveri rossi,
o kippot, egli allora rivelava chi fosse:
era un legionario
che riportava in patria
le ossa stanche, ormai inabili a difenderla.
Come allora lo abbracciano padroni e servitori,
come scoppiano in lacrime! Siede con loro a tavola,
racconta storie strane, curiose, straordinarie,
che tutti attenti ascoltano come fosse una fiaba.
Narra che il generale Dąbrowski dall’Italia
sta facendo ogni sforzo per arrivare in patria,
che in Lombardia raduna i suoi compatrioti;
che Kniaziewicz dà ordini in cima al Campidoglio
e, vincitore, innanzi agli occhi dei francesi
getta cento stendardi insanguinati, presi
agli eredi dei Cesari.

Gli eredi dei Cesari tenevano però duri, il Risorgimento sotto l’egida della Casa Savoia avvenne nel 1870, quando finalmente crollò lo Stato Della Chiesa, ormai in condizione di decomposizione, e gli eserciti italiani occuparono Roma abbandonata dai francesi, rendendo i papi prigionieri volontari del Vaticano.

La Primavera dei Popoli (1848 – 1849)

L’insurrezione nazionale dei polacchi contro i russi fallita nel 1831 gettò fuori bordo migliaia di esuli che costituivano l’élite del Regno del Congresso legato alla Russia con l’unione dinastica a partire dal 1815. Era la cosiddetta Grande Emigrazione, grande non per il numero ma per il carattere dei suoi rappresentanti. Gli ufficiali, i deputati dell’ultimo Sejm e i membri del Governo Nazionale, i proprietari terrieri conosciuti, i poeti romantici, i giornalisti e gli opinionisti, tutti partirono verso l’ovest e verso il sud d’Europa, strada facendo diffondendo il virus di ribellione e rivoluzionario. I politici e i militari rappresentanti quasi tutti i partiti di allora, dai conservatori estremi ai radicali comunisti, erano uniti, nonostante la loro volontà – dal desiderio che la Polonia recuperasse l’indipendenza. Questo invece poteva avvenire in pratica solo attraverso il capovolgimento dell’ordine politico oppure sociale europeo, garantito durante il Congresso di Vienna nel 1815 dai trattati della Santa Alleanza. Nell’Europa Centrale e Orientale il momento avvenne solo nel 1918, dopo un crollo improvviso delle tre monarchie – Russia zarista, Impero austro – ungarico ed Impero tedesco. Fino a quel momento la parola polacco nei gabinetti europei significava un sognatore incorreggibile e al contempo – un rivoluzionario pericoloso.

L’Italia rurale e sovrappopolata, divisa tra gli stati degli Asburgici austriaci al nord e dei Borboni spagnoli al sud (il Regno delle Due Sicilie napoletano), con lo Stato Pontificio al centro, si aspettava solo una rivoluzione sociale e il Risorgimento – la rinascita nazionale. In verità l’unica dinastia reale che contava, che aspirava a governare l’Italia, era la famiglia reale della casa Savoia, la quale governava la Sardegna e il Piemonte. Il nuovo Papa Pio IX, nonostante godesse di buona fama non sarebbe potuto diventare il sovrano del nuovo stato italiano, anche se lo avesse voluto. La Primavera dei Popoli che negli anni 1848 – 1849 si estese in Francia, negli stati germanici, in Austria e Ungheria e nelle terre polacche, scoppiò pure in Italia. Come nel periodo napoleonico, al nord, in seguito alla lotta contro i governi austriaci, furono create le repubbliche a Venezia e a Milano, alle quali i Savoia mandarono in aiuto i loro eserciti.

”Di che cosa fu creata l’armata polacca in Italia?” Ex prigionieri di guerra nel campo di addestramento militare della Mandria di Chivasso nel Piemonte, dopo la fine della Prima guerra mondiale, dicembre 1918

I richiedenti polacchi bussavano da tanto tempo alle porte della curia romana cercando di ottenere la protezione del papa sulla loro attività politica. Il principe Czartoryski, l’ex ministro degli affari esteri della Russia, il primo presidente del Governo Nazionale durante la rivolta antirussa del 1831, chiamato il re senza corona della Polonia, il diplomatico principale dell’emigrazione polacca, cercava di ottenere il supporto di Pio IX per la formazione della legione polacca nello Stato Pontificio. La stessa cosa la richiedeva il famoso poeta romantico polacco, al contempo attivista politico, Mickiewicz, il quale dopo essere stato ricevuto in Vaticano, gridò al papa che lo Spirito Santo era presente nelle camicie degli operai di Parigi, il che suscitò una confusione generale. La legione, dal punto di vista sociale democratica e radicale, formata da Mickiewicz, dichiarato eretico e rivoluzionario, fu infine accolta al servizio del governo di Milano, combattendo contro gli austriaci nel secondario tratto del fronte sul lago di Garda, dove sorge l’eremo camaldolese.

Il generale polacco Rybiński, l’ultimo capo supremo dell’insurrezione contro i russi del 1831, divenne addirittura il capo delle forze armate di Venezia, però l’ac cordo che il governo di Venezia firmò con lui, alla fine non entrò in vigore. Dopo le vittorie austriache nell’Italia settentrionale, una parte dei polacchi si ritirò in Piemonte, una parte passò al servizio dal famoso rivoluzionario italiano Giuseppe Garibaldi. Il generale Chrzanowski, un uomo del principe Czartoryski, e quindi un rappresentante dei conservatori, divenne il capo supremo dell’armata sarda sabauda e riuscì a sottomettersi la legione radicale di Mickiewicz. La sconfitta del Piemonte nella lotta contro gli austriaci e l’abdicazione del re a favore del figlio segnarono così la fine delle formazioni polacche in servizio sabaudo.

Al sud comparve ancora un altro polacco – il generale Ludwik Mierosławski, un dilettante conosciuto e ammirato, però morbosamente ambizioso, il quale assunse il comando del quartiere militare in Sicilia, rivoltosa contro i Borboni napoletani. Pure qui gli eserciti rivoluzionari subirono una sconfitta.

Una parte dei legionari di Mickiewicz si trasferì in Toscana, il cui governo offrì loro per un breve tempo il servizio militare, e di seguito si recò nel territorio della Repubblica Romana, combattendo in sua difesa. Il papa, prima ammirato dai polacchi, scappò a Gaeta. Giuseppe Mazzini, il dittatore della repubblica, dell’ultimo bastione della rivoluzione, annunciò la creazione della nuova legione polacca, che costituiva ufficialmente una sorta di truppa alleata con l’Italia. Il comandante delle forze comuni era Garibaldi. I territori della repubblica furono occupati dai francesi, dagli asburgici e dai Borboni napoletani, nella difesa di Roma si distinsero i legionari polacchi, però il 3 luglio 1849 nella città entrò l’esercito francese restituendo la sovranità del papa. I resti dei legionari e dei soldati italiani si recarono, nomen omen sulla nave “Pio IX” alle Isole Ionie per richiedere la possibilità di passare alla Transilvania, dove insieme agli austriaci e ai russi combatté l’armata ungherese sotto il comando del generale polacco famoso Józef Bem. Non se ne fece nulla.

Una sorta di conclusione di quelle parentele polacco – italiane fu la partecipazione dei francesi e degli italiani alla successiva rivolta antirussa scoppiata nel Regno di Polonia nel 1863. Un amico di Garibaldi, partecipante della Primavera dei Popoli italiana, il colonello Francesco Nullo proveniente da Bergamo, venne alla Cracovia polacca, che in quel periodo si trovava nel territorio dell’Austria asburgica. Prima aveva scritto il testamento. Nominato generale del Governo Nazionale, il 3 maggio, il giorno della festa religiosa e nazionale polacca che commemora la proclamazione della Madonna regina del Regno polacco nel 1656 e della promulgazione della prima costituzione polacca nel 1791, attraversò il confine austriaco – russo alla guida della legione franco – italiana. Morì due giorni dopo, durante una battaglia contro i russi. Fu sepolto al cimitero a Olkusz nella Piccola Polonia.

Le due guerre mondiali

All’inizio dell’XI secolo in Italia dovevano arrivare trecento corazzati polacchi – un numero da non disprezzare. Le legioni al servizio dei protettorati napoleonici contavano qualche migliaio di soldati ciascuno, tanti per quanto riguarda gli Stati italiani. D’altronde l’assalto di dieci minuti dello squadrone dei cavalleggeri polacchi alle batterie spagnole sotto il passo di Somosierra sui monti Guadarrama, che nel 1808 aprì a Napoleone la strada per Madrid, dimostrò che non contava necessariamente la quantità, e i mercenari spinti debitamente dall’ambizione e dall’ammirazione per l’imperatore, poterono fare più degli eroi nostrani. Le legioni straniere nell’Italia della Primavera dei Popoli contavano qualche centinaio di polacchi ciascuna, però un ruolo im portante lo svolsero gli ufficiali polacchi negli eserciti repubblicani. Il ricordo degli eventi non è per niente lontano. Mio nonno materno ricordava gli eventi della Primavera dei Popoli a metà degli anni Cinquanta dell’ultimo secolo, come una tradizione familiare viva, che si impadronì dell’immaginazione del ragazzino piccolo proveniente dalla Galizia polacca, che fino all’anno 1918 faceva parte della monarchia degli Asburgici austriaci:

“I miei ricordi infantili più lontani risalgono ai racconti del nonno sugli eventi dell’anno 1848 a Leopoli. I racconti, e in particolare le relazioni sulle sparatorie di Leopoli con i cannoni dall’Alto Castello, li ho ancora freschi nella mia memoria. (…) Sulla generazione di mio nonno fece un’impressione fortissima l’anno quarantotto, la rivolta in Ungheria e il cammino dell’esercito russo attraverso la Galizia verso l’Ungheria. Dei fratelli di mio nonno due parteciparono alla rivolta ungherese. Uno di loro rimase in Ungheria e l’altro emigrò in Turchia. Sono eventi conosciuti della storia della piccola nobiltà [polacca]”.

All’inizio dell’anno 1918, come maturando di diciott’anni, che portava ancora la divisa della scuola, si arruolò nel Corpo Ausiliare Polacco, una legione in servizio austriaco. Tuttavia, il corpo che si ribellò fu risolto, e il nonno, istruito come artigliere, fu mandato sulle Alpi, al fronte italiano. Quando la monarchia impero-reale cominciò a decomporsi, insieme ad un compagno si scrissero un ordine falso di vacanza per andare alla loro familiare Leopoli, la capitale della Galizia, e tornò a casa. Altri recluti non ebbero questa fortuna. Circa 60 mila di loro si trovarono nei campi di concentramento per prigionieri di guerra in territorio italiano, come sudditi austriaci. In Francia invece fu formata l’Armata Polacca da parte degli Alleati, le cui truppe all’ultimo momento riuscirono anche a partecipare alla lotta contro i tedeschi nella Champagne. Al suo capo, il generale Józef Haller, a partire dall’ottobre capo supremo dell’Esercito Polacco, furono sottomesse tutte le formazioni di volontari polacche, dal Canada fino alla russa Vladivostok. Nei campi di concentramento italiani iniziò il reclutamento all’armata polacca alleata. Dalla parte degli italiani combatteva già una compagnia polacca, formata sul territorio del campo di concentramento a Santa Maria Capua Vetere in Campania. Il secondo campo era localizzato a La Mandria di Chivasso in Piemonte. Complessivamente son ostati reclutati 35 mila volontari tra i prigionieri, i quali crearono reggimenti intitolati agli eroi che conosciamo - Dąbrowski, Kościuszko, Mickiewicz, Nullo, Garibaldi. I soldati di seguito furono trasportati in Francia, da dove, nel 1919, partirono per la loro patria. Dopo 123 anni di prigionia si realizzarono le parole della Mazurka di Dąbrowski - „dalla terra italiana alla Polonia”.

L’anno 1939 portò una catastrofe per la Polonia, sconfitta con uno sforzo comune da parte della Germania e della Russia. L’Italia che supportava Hitler, rimase però neutrale nei confronti della Polonia e mantenne la simpatia per i suoi cittadini. Fino all’anno 1940 folle di profughi e di volontari del nuovo Esercito Polacco in Francia si spostavano nello stivale italiano. L’ambasciatore polacco a Roma, Bolesław Wieniawa-Długoszowski, fu designato presidente della Polonia da parte del presidente Mościcki, internato in Romania, però non poté accettare la funzione a causa dell’opposizione da parte dei francesi e degli inglesi. A Roma andò ad abitare, mentre era in viaggio per la Francia, il primate della Polonia, August Hlond nonché il vescovo castrense Józef Gawlina, passando prima dal monastero dei camaldolesi sul lago di Garda, dove andò a trovare suo zio.

Le truppe di spedizione italiane che coadiuvavano i tedeschi sul fronte orientale, anche se passarono attraverso i territori polacchi occupati dai tedeschi, incontrarono un’accoglienza amichevole da parte del popolo, come le truppe spagnole e ungheresi. I legami bellici polacco-italiani sono stati colti bene da Stanisław Lenartowicz, il regista della commedia polacca Giuseppe a Varsavia (1964), lui stesso soldato dell’esercito clandestino e prigioniero del campo di concentramento russo dopo la guerra.

La tragedia degli italiani si completò negli anni 1943 – 1944. Chi aveva sopravvissuto a Stalingrado, morì dopo nei campi di prigionia russi. La tragica storia è stata presentata con umorismo nel Compagno Don Camillo (1963) da Giovanni Guareschi – un prigioniero italiano sopravvissuto, che rimasto in un kolchoz ucraino, dopo la guerra si sposò con una cittadina dell’Unione Sovietica, figlia di contadini polacchi.

Quando gli italiani passarono dalla parte degli Alleati nel 1943, la maggior parte dei soldati italiani all’estero, fu chiusa dai tedeschi nelle prigioni e nei campi di concentramento. Nel quartiere Bielany a Varsavia si trova il cimitero dei soldati italiani. Ci furono sepolti quasi mille italiani che si trovarono in prigionia tedesca durante la Prima guerra mondiale e morirono nelle prigioni in territorio della Polonia. Ci furono sepolte pure le ceneri di oltre millequattrocento italiani, una parte delle vittime italiane, caduti e uccisi in territorio polacco dai tedeschi, durante la Seconda guerra mondiale. Si trova pure una lapide significativa - dedicata alla memoria di sei generali italiani uccisi sul suolo polacco nell’anno 1945, dai tedeschi, durante il loro ritiro. 

Jacek Żurek

autor zdjęć: Cezary Pomykało, polonia.pl

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